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Il Richiamo

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Tratto dal romanzo IL RICHIAMO, Oceano Edizioni 2017

(…)
In casa di Maria il padre si diceva disonorato e tuonava a gran voce che non aveva più una figlia; infatti si rifiutò di accoglierla in famiglia per oltre un anno.
Ma quella notte non accadde nulla tra i due giovani, come non accadde nulla nella notte successiva e nei due mesi a venire.
Se solo il padre lo avesse saputo! Disonorato e male informato.
La figlia era vissuta tra le pareti di una casa dai concetti morali rigidissimi, senza la possibilità di frequentazioni coetanee per un sano confronto di crescita.
Nessun sentore di come girasse il mondo fuori dalle mura, nel vicolo di Largo Carmine, dove, dalla sua finestra, lo sguardo si spingeva fino al negozio del barbiere, dirimpetto.
Maria infatti in quei due mesi tenne testa alle “inconcepibili” richieste di Cecchino e rifiutava di concedersi, al punto che, stremata, si rivolse in lacrime alla solita zia, confidandosi e dicendo che no, non poteva essere così, che certe cose non si fanno e non potevano essere ammissibili.
Cecchino, di contro, cominciava a spazientirsi, con la sua donna da “vedere e non poter toccare”, non sapendo più come farle capire che non era un mostro e non intendeva farle del male e che il suo, oltre che un piacere e un lecito desiderio, era oltretutto un sacrosanto diritto.
Lei gli voleva bene, ma quella cosa lì, no! Non era possibile che dovesse andare così.
Aveva puntato i piedi, e non solo i piedi.
La zia la rassicurò; era così che andava, che doveva andare e che era sempre andata, per tutte, da sempre, per ogni donna.
Cercò, alla sua semplice maniera, di farle capire che l’amore ha tante facce, che quando si ama, si ama in maniera totale, che il dolore diventa gioia di essere dei due una sola persona, e che senza l’unione dei corpi, un matrimonio è incompleto, non può neanche dirsi tale. La impaurì dicendo che Cecchino avrebbe potuto anche ripudiarla e rimandarla a casa se si fosse ancora negata. Nessun uomo avrebbe aspettato due mesi, con la sua donna nello stesso letto, acconsentendo a non consumare il matrimonio per non intimorirla.
– Cecchino non è un mostro, ma un santo – le disse – benedetto uomo che ti è capitato! Un signore e un santo! Tuo zio neanche il tempo di farmi il segno della croce mi diede, che mi ritrovai madre di undici figli. Credo che non gli perdonai mai la sua brutalità, ma come vedi, Cecchino non è di questa pasta – cercò di rassicurarla l’anziana donna.
– Stai tranquilla Maria, da quanto mi sembra di capire sei in buone mani; ti vuole bene, ti rispetta, non ti farebbe mai del male. Rasserenati e cerca di goderti la gioia che ti è toccata.
È così che deve essere, è così che deve andare.
E così andò.
Quella sera Maria, a malincuore, sigillò la sua unione con Cecchino e così fu per tante altre sere.
Meno a malincuore.
Nacque Peppino, e sempre meno a malincuore, alla fine della guerra, rimase gravida anche di Paolo e di Soccorsa.
La quarta figlia morì durante un parto travagliato, a causa della superficialità della levatrice. Maria non dimenticò mai la voce della donna, melliflua, lontana dal dolore lancinante del suo travaglio che le squarciava il ventre e la schiena.
Mentre lei era ormai sospesa tra la vita e la morte, si limitava a ripeterle in maniera monocorde, non sapendo cosa fare e porgendo le mani a palmo:
– Quando me la dai? Quando me la dai? – senza muovere un dito o far nulla per agevolare il parto.
Da sola, senza aiuto, non ce la fece a dargliela in tempo e solo quando temette per la sua stessa vita, la levatrice si decise a usare il forcipe.
La bambina, bella come una rosa, il cui volto Maria non avrebbe più dimenticato, fu strangolata dallo stesso cordone ombelicale.
“Quando me la dai, quando me la dai” rimase l’incubo ricorrente delle notti di Maria.
Floriana continuò a vivere nel suo petto.









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